Il maestro agli alunni Introduzione. Sant'Innocenzo e Grassano. Abbate Giovanni, note bio-bibliografiche. Ringraziamenti. |
A voi, cari ragazzi degli anni Cinquanta, il mio affettuoso ricordo. Vi rivedo piccini, con il grembiule azzurro, il colletto bianco e il nastro rosso; con gli occhietti vispi e intelligenti, desiderosi di apprendere e di affrontare il primo impatto con la realtà sociale rappresentata dalla scuola. Seduti su banchi sconnessi, in vecchie case adibite ad aule, stringevate, con la manina incerta, prima la matita e poi la penna intinta nel calamaio. Quante volte ho preso nella mia la vostra mano tremolante per guidarla a seguire il rigo e a trasformare i vostri geniali scarabocchi in lettere, in parole e in frasi espressive! Vi ho visto sudare in quello sforzo per voi immane; vi ho sentito però anche esplodere in gioiose grida di vittoria per i vostri progressivi successi. Anch'io gridavo di gioia insieme con voi. E la scuola ci sembrava un gioco, un'avventura ricca di promesse. Tutta la vita ci sorrideva in questo scambio d'impegni e di prospettive. Da voi appresi la freschezza dei pensieri, la spontaneità dei sentimenti e la gioia del vivere. Grazie davvero, ragazzi. Continuate a superare gli ostacoli con la stessa costanza di allora ed ad irradiare sempre quella luminosa speranza in questa società, tesa alla ricerca di un significato radicale e totalizzante della vita. So che amate il paese in cui avete aperto la mente alle prime nozioni del sapere e il cuore alla poesia delle colline native. Aiutatelo a crescere questo paese, come siete cresciuti voi, intraprendenti e generosi. Ho pensato di offrirvi un'ode su Grassano e sul suo Patrono. Vogliate gradirla: è un attestato di gratitudine e un messaggio augurale. Quando l'ho scritta ho rievocato, fra i tanti volti, anche i vostri, così cari, così disciplinati e anche quelli dei vostri genitori, sempre rispettosi e attenti a seguirvi nel difficile sentiero della scuola. Leggendola, pensate anche voi al maestro della vostra fanciullezza, di quella divina età che qui, a Grassano, fu l'aurora della vostra vita. Egli vi ricorderà con immutato affetto e con molta stima e vi augura di cuore un lungo avvenire, colmo di liete stagioni e di lusinghieri successi, all'insegna di quella gioia, che vi arrise allora e che ritorna oggi ad esultare nei vostri giovani e generosi cuori. Un abbraccio dal maestro di allora e da un amico di sempre.
Grassano, 1 Luglio 1998
Giovanni Abbate
La storia non ci ha tramandato la vita del Santo nelle sue tappe e nelle sue vicende più significative, ma ci ha trasmesso la sua testimonianza di vita, valore primario da vivere, che egli ha voluto immolare per la salvezza dei fratelli, da lui sconosciuti, certamente suoi nemici per ragioni politiche e militari.
Tu, martire Innocenzo, sei Grassano,
dolce paese ahi! spesso migrabondo.
Sul tuo poggio t'indora il sol lucano
e vai radioso per le vie del mondo.
Giovanni Abbate (1997)
Con questa scelta, identica a quella del Martire del Golgota, egli non ha degradato la vita, non l'ha gettata via come un fardello tedioso, non l'ha persa, ma l'ha riconsegnata, densa di eternità, alla "Verità che tanto ci sublima!".
Grassano, 26.8.1993
L'Autore
Dal colle, ove fiorì il sacro mirto,
Sant'Innocenzo, ammiro il tuo paese
circonfuso di porpora al tramonto.
Corrusco è il quadro, come quel di El Greco,
che nell'apoteosi del martirio
un volto diede a te e ai tuoi compagni;
a Maurizio, a Candido, ad Essuperio,
a Vittore e Vitale, testimoni
di virile coerenza nella fede.
La giovane progenie del casale
nel volto tuo si specchiò profondo,
colse l'identità, sognò il futuro
e a te affidò il suo destino errante,
bello di dignità, bello di pianto.
Un tempio t'innalzò, or rinnovato,
sulle deserte basi d'un maniero,
opra incompiuta del potere umano.
Palme d'arancio e zagare nuziali,
fresche primizie della conca d'oro
e delle greggi. pascenti sui clivi,
di timo odorosi e d'auree ginestre,
i latticini di nivea innocenza
in cestelli di giunchi e di asfodeli
all'ara tua offrì con preci e voti.
Umile araldo dell'annuncio lieto,
tu pur sulle macerie d'un impero,
corroso dalla stessa sua potenza,
della Chiesa esitante ai primi albori
le basi rafforzasti non con massi,
ma con il sangue, molto più tenace
dei capisaldi di cemento armato.
Solo al supplizio cedesti, deciso
a negare agli dei incenso e riti
e a non trafiggere i fratelli insorti
per tutelar la libertà e la fede
nei propri lari o nel novello Verbo
e le armi tue, che par sapevi usare,
in simboli di pace convertisti.
La gente tua scolpir ti ha fatto un busto,
che ha i connotati d'un autoritratto.
La cuspide dell'asta nella destra
fiamma è del cuor, che s'alza nell'azzurro
per indicare la suprema meta
ed irradiare palpiti di amore,
come impulsi di luce e di vigore,
sui passi incerti negli ardui sentieri.
E' acuto vomere , il glorioso attrezzo
atto a cercar nelle assolate zolle
i tesori dell'aureo frumento,
che a te recavano in candidi sacchi
i muli in devote teorie,
pazienti al crudo ago dei tafani
e della sete al soffocante ardore.
E' penna la tua lancia, di cultura
e d'arte allegoria, mai disdegnata
dai tuoi concittadini, ognora esperti
dei nuovi tempi a cogliere i segnali
e in egregie opere a tradurli.
La tua innocua arme è anche un ramo
con l'esile foglia che mi rammenta
il lusso antico dei boschi lucani,
or con le chiome arrossate da incendi
da empie mani suscitati e invito
è quella foglia a rinverdire il culto
della natura, santuario di Dio,
per condurla all'estrema euritmia,
segnata nel progetto creativo
ed intravista dai santi e dai vati
con lo stupore della dolce Saffo
nel suo ultimo canto , dal poeta
dell'Infinito raccolto con note
eterne: "Bello il tuo manto, o divo
cielo e bella sei tu, rorida terra!".
La tua aureola brillar l'ho vista
sul capo delle donne grassanesi
martiri anch'esse insieme ai lor congiunti
della casta santità del lavoro,
come fatica e lode a Dio vissuto.
Sulla fronte le lunghe e molli trecce,
splendenti d'olio e fragranti di mirto,
cerchiate a serto usavano mostrare.
La tua Grassano nel purpureo manto
avvolgi accanto alla tua palma
con le volute simili ai calanchi
delle nostre contrade torturate
da frane e sismi: fatta hai tu un'effigie
di coesione di glebe, di corpi
e d'anime, che più costanza imprime
ai plinti dell'umana ingegneria.
Sui colli ameni della Cornucopia
di viti, olivi, e mandorli festanti,
dal volo delle rondini blandita,
migrate come te dai lidi egizi,
splende Grassano in un tripudio d'oro
di palazzine con verande in fiore;
di leggiadre piazze invitanti ai lieti
convegni e ai provetti negoziati;
e di ampi corsi sonori di voci
e passi di ogni età, di rombi d'auto
frammisti ai canti della giovinezza,
di tutte le stagioni alma speranza.
Tu ci sorridi, lieto del progresso,
ma ancor più lieto che nel tempio tuo,
restituito all'antico suo nitore,
la viva fede e la moderna arte
inchinate si sono al nuovo culto
del Dio della beltà e dell'amore,
invisibile si, ma qui evidente!
E' tuo e nostro auspicio che qui s'alzi
un'ara degna ai santi grassanesi,
che tu conosci di nome e di viso,
Oh, quante volte a lor sei stato accanto,
generoso di esempio e di conforto!
Hanno contegni semplici, agli occhi
disattenti comuni cittadini,
ma, fulgidi di ascesi e di carismi,
nel sacrario dei cuor son già beati.
Non sei tu un santo di obsoleti schemi.
Precorso hai i tempi che viviamo oggi:
agli ordini di strage renitente,
mite assertore della non violenza,
della coscienza convinto obiettore,
libero eroe in coatto espatrio,
del fiero Erculeo molto tu più forte
nell'ideal l'hai vinto e nella morte.
Tu previdente, mistico oblatore
come il Cristo che imporporò il Calvario
per trasfusioni di salvezza eterna,
all'A.D.Vo.S. plaudi, eletta lega, provvida
della linfa vitale ai cuori esangui.
Sei la figura della trasparenza
e ancor di più della testimonianza.
Dalle sponde del Nilo proveniente,
alle rive approdasti dell'Europa,
dall'odio scissa allor com'é ancor oggi.
Chiamato per difendere i confini
di un dominio retto con il gladio,
grondar vedesti le vietate sbarre
di lagrime e di sangue e, inorridendo,
degnasti di pietà l'assurdo scempio.
Con la lungimiranza del Vangelo,
irrisa dall'umana miopia,
la visione da secoli cogliesti
dell'unità del bianco continente.
E tu, angelo tebano, le frontiere
di razze sorvolasti e di culture
e alle onde del Rodano affidasti
il sangue ardente del reciso collo,
di positiva pace alto messaggio
alla cruenta storia dell'Europa
e del divino encomio indubbia prova:
"Armor non c'è più grande di colui
che dà la vita per i suoi fratelli".
(1993)