GIOVANNI ABBATE



SANT' INNOCENZO E GRASSANO





INDICE

Il maestro agli alunni

Introduzione.

Sant'Innocenzo e Grassano.

Abbate Giovanni, note bio-bibliografiche.

Ringraziamenti.








IL MAESTRO AGLI ALUNNI

"Littera gesta docet, quid credas allegoria,
moralis quid agas, quo tendas anagogia"

"La lettera insegna i fatti, l'allegoria che cosa credere,
il senso morale che cosa fare e l'anagogia dove tendere"

Da un distico medioevale in Catechismo della Chiesa Cattolica, Ed. Vaticana, 1992, pag.46.


     A voi, cari ragazzi degli anni Cinquanta, il mio affettuoso ricordo. Vi rivedo piccini, con il grembiule azzurro, il colletto bianco e il nastro rosso; con gli occhietti vispi e intelligenti, desiderosi di apprendere e di affrontare il primo impatto con la realtà sociale rappresentata dalla scuola. Seduti su banchi sconnessi, in vecchie case adibite ad aule, stringevate, con la manina incerta, prima la matita e poi la penna intinta nel calamaio. Quante volte ho preso nella mia la vostra mano tremolante per guidarla a seguire il rigo e a trasformare i vostri geniali scarabocchi in lettere, in parole e in frasi espressive! Vi ho visto sudare in quello sforzo per voi immane; vi ho sentito però anche esplodere in gioiose grida di vittoria per i vostri progressivi successi. Anch'io gridavo di gioia insieme con voi. E la scuola ci sembrava un gioco, un'avventura ricca di promesse. Tutta la vita ci sorrideva in questo scambio d'impegni e di prospettive. Da voi appresi la freschezza dei pensieri, la spontaneità dei sentimenti e la gioia del vivere. Grazie davvero, ragazzi. Continuate a superare gli ostacoli con la stessa costanza di allora ed ad irradiare sempre quella luminosa speranza in questa società, tesa alla ricerca di un significato radicale e totalizzante della vita. So che amate il paese in cui avete aperto la mente alle prime nozioni del sapere e il cuore alla poesia delle colline native. Aiutatelo a crescere questo paese, come siete cresciuti voi, intraprendenti e generosi. Ho pensato di offrirvi un'ode su Grassano e sul suo Patrono. Vogliate gradirla: è un attestato di gratitudine e un messaggio augurale. Quando l'ho scritta ho rievocato, fra i tanti volti, anche i vostri, così cari, così disciplinati e anche quelli dei vostri genitori, sempre rispettosi e attenti a seguirvi nel difficile sentiero della scuola. Leggendola, pensate anche voi al maestro della vostra fanciullezza, di quella divina età che qui, a Grassano, fu l'aurora della vostra vita. Egli vi ricorderà con immutato affetto e con molta stima e vi augura di cuore un lungo avvenire, colmo di liete stagioni e di lusinghieri successi, all'insegna di quella gioia, che vi arrise allora e che ritorna oggi ad esultare nei vostri giovani e generosi cuori. Un abbraccio dal maestro di allora e da un amico di sempre.

Grassano, 1 Luglio 1998

Giovanni Abbate




INTRODUZIONE



Tu, martire Innocenzo, sei Grassano,
dolce paese ahi! spesso migrabondo.
Sul tuo poggio t'indora il sol lucano
e vai radioso per le vie del mondo.

Giovanni Abbate (1997)


La storia non ci ha tramandato la vita del Santo nelle sue tappe e nelle sue vicende più significative, ma ci ha trasmesso la sua testimonianza di vita, valore primario da vivere, che egli ha voluto immolare per la salvezza dei fratelli, da lui sconosciuti, certamente suoi nemici per ragioni politiche e militari.
Con questa scelta, identica a quella del Martire del Golgota, egli non ha degradato la vita, non l'ha gettata via come un fardello tedioso, non l'ha persa, ma l'ha riconsegnata, densa di eternità, alla "Verità che tanto ci sublima!".

Grassano, 26.8.1993

L'Autore



SANT'INNOCENZO E GRASSANO

(nella trasfigurazione di un tramonto d'estate)

Dal colle, ove fiorì il sacro mirto,
Sant'Innocenzo, ammiro il tuo paese
circonfuso di porpora al tramonto.
Corrusco è il quadro, come quel di El Greco,
che nell'apoteosi del martirio
un volto diede a te e ai tuoi compagni;
a Maurizio, a Candido, ad Essuperio,
a Vittore e Vitale, testimoni
di virile coerenza nella fede.

La giovane progenie del casale
nel volto tuo si specchiò profondo,
colse l'identità, sognò il futuro
e a te affidò il suo destino errante,
bello di dignità, bello di pianto.

Un tempio t'innalzò, or rinnovato,
sulle deserte basi d'un maniero,
opra incompiuta del potere umano.
Palme d'arancio e zagare nuziali,
fresche primizie della conca d'oro
e delle greggi. pascenti sui clivi,
di timo odorosi e d'auree ginestre,
i latticini di nivea innocenza
in cestelli di giunchi e di asfodeli
all'ara tua offrì con preci e voti.

Umile araldo dell'annuncio lieto,
tu pur sulle macerie d'un impero,
corroso dalla stessa sua potenza,
della Chiesa esitante ai primi albori
le basi rafforzasti non con massi,
ma con il sangue, molto più tenace
dei capisaldi di cemento armato.

Solo al supplizio cedesti, deciso
a negare agli dei incenso e riti
e a non trafiggere i fratelli insorti
per tutelar la libertà e la fede
nei propri lari o nel novello Verbo
e le armi tue, che par sapevi usare,
in simboli di pace convertisti.

La gente tua scolpir ti ha fatto un busto,
che ha i connotati d'un autoritratto.
La cuspide dell'asta nella destra
fiamma è del cuor, che s'alza nell'azzurro
per indicare la suprema meta
ed irradiare palpiti di amore,
come impulsi di luce e di vigore,
sui passi incerti negli ardui sentieri.
E' acuto vomere , il glorioso attrezzo
atto a cercar nelle assolate zolle
i tesori dell'aureo frumento,
che a te recavano in candidi sacchi
i muli in devote teorie,
pazienti al crudo ago dei tafani
e della sete al soffocante ardore.

E' penna la tua lancia, di cultura
e d'arte allegoria, mai disdegnata
dai tuoi concittadini, ognora esperti
dei nuovi tempi a cogliere i segnali
e in egregie opere a tradurli.
La tua innocua arme è anche un ramo
con l'esile foglia che mi rammenta
il lusso antico dei boschi lucani,
or con le chiome arrossate da incendi
da empie mani suscitati e invito
è quella foglia a rinverdire il culto
della natura, santuario di Dio,
per condurla all'estrema euritmia,
segnata nel progetto creativo
ed intravista dai santi e dai vati
con lo stupore della dolce Saffo
nel suo ultimo canto , dal poeta
dell'Infinito raccolto con note
eterne: "Bello il tuo manto, o divo
cielo e bella sei tu, rorida terra!".
La tua aureola brillar l'ho vista
sul capo delle donne grassanesi
martiri anch'esse insieme ai lor congiunti
della casta santità del lavoro,
come fatica e lode a Dio vissuto.
Sulla fronte le lunghe e molli trecce,
splendenti d'olio e fragranti di mirto,
cerchiate a serto usavano mostrare.

La tua Grassano nel purpureo manto
avvolgi accanto alla tua palma
con le volute simili ai calanchi
delle nostre contrade torturate
da frane e sismi: fatta hai tu un'effigie
di coesione di glebe, di corpi
e d'anime, che più costanza imprime
ai plinti dell'umana ingegneria.
Sui colli ameni della Cornucopia
di viti, olivi, e mandorli festanti,
dal volo delle rondini blandita,
migrate come te dai lidi egizi,
splende Grassano in un tripudio d'oro
di palazzine con verande in fiore;
di leggiadre piazze invitanti ai lieti
convegni e ai provetti negoziati;
e di ampi corsi sonori di voci
e passi di ogni età, di rombi d'auto
frammisti ai canti della giovinezza,
di tutte le stagioni alma speranza.

Tu ci sorridi, lieto del progresso,
ma ancor più lieto che nel tempio tuo,
restituito all'antico suo nitore,
la viva fede e la moderna arte
inchinate si sono al nuovo culto
del Dio della beltà e dell'amore,
invisibile si, ma qui evidente!

E' tuo e nostro auspicio che qui s'alzi
un'ara degna ai santi grassanesi,
che tu conosci di nome e di viso,
Oh, quante volte a lor sei stato accanto,
generoso di esempio e di conforto!
Hanno contegni semplici, agli occhi
disattenti comuni cittadini,
ma, fulgidi di ascesi e di carismi,
nel sacrario dei cuor son già beati.

Non sei tu un santo di obsoleti schemi.
Precorso hai i tempi che viviamo oggi:
agli ordini di strage renitente,
mite assertore della non violenza,
della coscienza convinto obiettore,
libero eroe in coatto espatrio,
del fiero Erculeo molto tu più forte
nell'ideal l'hai vinto e nella morte.

Tu previdente, mistico oblatore
come il Cristo che imporporò il Calvario
per trasfusioni di salvezza eterna,
all'A.D.Vo.S. plaudi, eletta lega, provvida
della linfa vitale ai cuori esangui.

Sei la figura della trasparenza
e ancor di più della testimonianza.
Dalle sponde del Nilo proveniente,
alle rive approdasti dell'Europa,
dall'odio scissa allor com'é ancor oggi.
Chiamato per difendere i confini
di un dominio retto con il gladio,
grondar vedesti le vietate sbarre
di lagrime e di sangue e, inorridendo,
degnasti di pietà l'assurdo scempio.
Con la lungimiranza del Vangelo,
irrisa dall'umana miopia,
la visione da secoli cogliesti
dell'unità del bianco continente.
E tu, angelo tebano, le frontiere
di razze sorvolasti e di culture
e alle onde del Rodano affidasti
il sangue ardente del reciso collo,
di positiva pace alto messaggio
alla cruenta storia dell'Europa
e del divino encomio indubbia prova:
"Armor non c'è più grande di colui
che dà la vita per i suoi fratelli".


(1993)





ABBATE GIOVANNI

NOTE BIO-BIBLIOGRAFICHE


L'A. nasce ad Albano di Lucania (prov. di Potenza) nel 1928, ma già nel 1936 si trasferisce a Grassano, dove attualmente risiede, dopo aver insegnato nella locale scuola elementare a molte generazioni di studenti.
Ha realizzato vari lavori di ricerca storica, poetica e linguistica attualmente ancora in gran parte inediti.
Tra questi vogliamo citare:
  • La Basilicata e Grassano. Due nomi un solo destino, Tip. Liantonio, Matera, 1972
  • Le origini e gli avvenimenti storici di Grassano, 1985
  • Il Fenomeno del bilinguismo in "Storia della Basilicata di Dino D'Angella" con particolare riferimento al dialetto grassanese, 1986
  • Grassano. Dalla riscoperta delle sue radici primigenie un progetto nuovo per il suo futuro, 1991
  • S. Innocenzo tra la leggenda e la storia, 1993
  • Dalla "Casedda" al "lammione", opuscolo, 1995
  • Presentazione alla comunità grassanese della raccolta poetica "Palpita la vita" di Franca Bonelli, 1996
  • Varie poesie inedite in lingua italiana e dialettale, 1970-1998
  • ed il presente lavoro poetico, intitolato "Sant'Innocenzo e Grassano", che siamo lieti di poter finalmente pubblicare.

N.B. Le note a piè pagina contraddistinte dalla sigla "N.d.A." (Nota dell'Autore) sono state realizzate dall'Autore, tutte le altre dal Signor Innocenzo Pontillo con l'assenso dell'Autore.






Ringraziamenti a:

L'autore intende esprimere i suoi più vivi ringraziamenti all'Associazione Amici della Poesia di Grassano, al C.S.E.C di Tricarico ed, in modo particolare, al Signor Innocenzo Pontillo per avergli fornito nuovi ed inediti materiali di ricerca.




I "Quaderni Grassanesi" sono una collana di pubblicazioni realizzate dall'Associazione "Amici della Poesia" di Grassano dedicate alla storia,
alle tradizioni, agli scrittori e alle problematiche delle piccole realtà locali.

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L'A. si riferisce al colle di Serra Martella che, secondo la tradizione, deve il suo nome all'essere stato ricoperto, nel passato, da numerose piante di mirto. Un arbusto aromatico, sempre verde, chiamato volgarmente "Mortella". Cfr. Enciclopedia Generale De Agostini, ed. De Agostini, Novara, 1990, pp.924.

La figura di questo Santo, soldato della legione "Tebea" e patrono di Grassano dal XVII secolo, sfugge al rigore dell'indagine storica per l'irreperibilità o inesistenza di una documentazione storica. Stando al più antico documento relativo al suo martirio ovvero la Passio Acaunensium martyrum di Eucherio, Vescovo di Lione (450-455 d.C. c.a.), tutti i componenti della legione Tebea trovarono il martirio ad Agaunum (attuale St. Maurice) poiché, essendo cristiani, rifiutarono di ubbidire all'ordine, dato dall'imperatore Massimiano Erculeo, di perseguitare i cristiani della Gallia. Racconto contraddetto, in parte, da una passio del IX sec. secondo cui questi fatti si sarebbero svolti in epoca e circostanze diverse. Infatti in essa si legge che: "scoppiata in Gallia nel 286 l'insurrezione dei Bagaudi, l'imperatore Diocleziano incaricò Massimiano di reprimerla e per potenziarne le truppe gli inviò la legione Tebea formata da soldati orientali, tutti cristiani. Traversate le alpi Pennine (attuale massiccio del San Bernardo) e raggiunta Octodurum (attuale Martigny), Massimiano indisse un solenne sacrificio agli dei per propiziarseli nell'imminente campagna, con l'obbligo per ogni soldato di giurare sull'ara di battersi con tutte le forze contro i Bagaudi. La legione Tebea, appreso l'ordine, si staccò dal resto dell'armata e si spostò verso Agauno" rifiutandosi di sacrificare e di giurare agli Dei pagani, di conseguenza l'imperatore ne ordinò lo sterminio. Il resto del racconto è in tutto identico alla passio di Eucherio salvo il fatto di riportare tra i martiri della legione Tebea, accanto ai nomi di Maurizio, Essuperio, Candido, Urso e Vittore, anche quelli di Vitale e Innocenzo e la notizia dell'avvenuta scoperta del corpo di Innocenzo, avvenuta nel 450 c.a., verificatasi in seguito ad una piena del Rodano e della sua traslazione ad Agauno da parte dei Vescovi Protasio del Vallese, Domiziano di Ginevra e Grato di Aosta. Il giudizio degli storici su questi fatti è contrastante, i protestanti li considerano una leggenda "che riecheggia qualche ignoto episodio di vita militare" e anche parecchi autori cattolici sollevano molti dubbi sulla loro autenticità. Molti storici hanno creduto di poter accettare il racconto di Eucherio ricollocando l'episodio durante la repressione dei Bagaudi, secondo quanto riportato nella passio del IX sec.. Gli studiosi non sono d'accordo neanche circa l'epoca di iscrizione di questi martiri nel martirologio (ovvero il libro dei martiri), è certo che l'elogio attuale è stato inserito, sotto la data del 22 settembre, nei sec. VI-VII e solo successivamente sono stati aggiunti ai quattro nomi più antichi di Maurizio, Essuperio, Candido e Vittore quelli di Innocenzo e Vitale. Cfr. Martirologium. Baronianis notationibus illustratum ad lectorem hexacticon, Venetiis, 1630, pp.468.; ABBATE Giovanni, S. Innocenzo tra la leggenda e la storia, dattiloscritto, 1993; AA.VV., Bibliothecae Sanctorum, ed. Città Nuova, pp.194-206.

Risplendente di riflessi vermigli.

Al grande pittore spagnolo El Greco (1541-1641) dobbiamo una famosa raffigurazione del martirio di San Maurizio e della legione Tebana (1580-'82). Cfr. Grande Dizionario Enciclopedico, vol.VI, U.T.E.T., Torino, 1957, pp.739.

Esaltazione.

Sono i grassanesi, discendenti da quegli antenati che qui si insediarono intorno all'anno 1000, forse provenienti dall'antico insediamento sito in contrada Altogianni, denominata in dialetto "Autsciane" che significa altopiano e che delimita la fascia orientale della "Tempa" (monte) di S. Antonio abate in agro di Grottole. (N.d.A.) Il recente rinvenimento, nei pressi dell'abitato di Grassano, di vari reperti archeologici risalenti all'epoca romana e greca avrebbe potuto fornire ulteriori informazioni sull'origine di questo insediamento se quest'ultimi non fossero stati inopinatamente distrutti o occultati. Cfr. BRONZINO Giovanni, Codex diplomaticus Tricaricensis (1055-1342), parte II, in Bollettino Storico della Basilicata, a.VIII, n.8, Roma, 1992, pp.72-75; FEDI Adolfo, Grassano zona archeologica. Ritrovate due pelikai, in L'Olimpo, a.VI, n.1, Napoli, Febbraio 1982, pp.2; FEDI A., Pelike '67. Nella valle del Basento una enorme miniera archeologica, in La Voce dei Calanchi, a.XVI, Maggio 1992, pp.8.

Grassano è indicato per la prima volta con il termine di "Casale" nei registri Angioini del 1270-71 dove è registrato come "Casale Graczani". Con questo termine, assai comune nell'alto medioevo, si designavano le grandi aziende agricole o più comunemente i piccoli insediamenti rurali formati da edifici in muratura destinati al ricovero dei rustici e del bestiame. Cfr. BRONZINO G., Fonti documentarie e bibliografiche per la storia di Tricarico e di altri centri viciniori (sec.IX-XX), in Bollettino Storico della Basilicata, a.III, n.3, Roma, 1987, pp. 21-22, pp.26; BARBERO A., FRUGONI C., Dizionario del Medioevo, ed. CDE, Milano, 1997, pp.61-62.

Scriveva Francesco Crispi nel 1874 che Grassano " fu feudo dei cavalieri di Malta. Un commendatore di quell'Ordine abitava nel comune in un turrito castello, abbattuto con la soppressione del feudalesimo. Sulle sue rovine fu edificata la chiesa parrocchiale", cit. tratta da CRISPI Francesco, Memorie di un candidato. Il collegio elettorale di Tricarico in Basilicata, ed. Osanna, Venosa, 1994, pp.40. Un racconto mutuato certamente dalla tradizione orale di questo centro, che solo recentemente sta trovando conferma nei documenti storici. Anche se l'abbattimento del "castello" o "palazzo" del Commendatore, avvenuto probabilmente all'inizio dell'800', portò solamente ad un ampliamento della chiesa Madre di Grassano. Cfr. GATTINI Giuseppe, Note storiche sulla comunità di Grassano, a cura di Pontillo Innocenzo, Quaderni Grassanesi, Grassano, 1997, pp.19, nota 51.



La zagara è il fiore profumato dell'arancio e del limone con il quale, nel passato, si usava adornare gli altari delle chiese specialmente quando vi si celebravano i matrimoni. Un riferimento alla fertilità dei "Giardini" di Grassano, ovvero ai terreni posti nei pressi del Basento.

Bianca.

L'asfodelo, in dialetto grassanese "l'avuzz", è un'erba spontanea assai comune nella nostra regione. Nelle sue foglie i pastori usavano avvolgere le mozzarelle e i formaggi da loro prodotti per mantenerli freschi.

Presso i Romani era così chiamato l'altare di pietra, di metallo o di terra dove si compivano i sacrifici agli dei.

Preghiere.

Il voto è un impegno assunto dal credente nei confronti della divinità. Nella religione cattolica viene fatto liberamente e deve essere adempiuto.

Modesto messaggero del Vangelo.

Non bisogna dimenticare che la vita e il martirio del Santo sono da inquadrarsi nei primi secoli di vita del cristianesimo, quando le continue persecuzioni resero assai difficoltosi lo sviluppo e il consolidamento di questa religione.

L'A. in questi versi esalta i motivi del martirio del Santo, evento determinato dalla sua decisione di "negare agli dei (pagani) incenso e riti" nonostante l'ordine dell'imperatore o, secondo una visione assai poetica ma improbabile, per non aver voluto "trafiggere i fratelli (ovvero i Bagaudi) insorti per tutelare la (loro) libertà e la loro fede nei propri Dei (lari) e nel Vangelo (novello Verbo)".

I lari erano le divinità romane protettrici dei campi e della casa.

La comunità di Grassano ha del suo santo patrono tre statue, ma la più preziosa è il busto-reliquiario in argento e rame dorato realizzato nel 1718 dall'orefice Avellinese Nicola De Angelis che viene solennemente esposto allo sguardo dei fedeli solo nei giorni della festa del Santo. Cfr. AA.VV., Argenti in Basilicata, ed. 10/17, Salerno, 1994, pp.96-97.

L'A. inizia da qui un parallelo tra l'iconografia del busto del Santo e le immagini e i precetti che esso evoca, quasi che in esso fossero "ritratte" le difficoltà, le speranze e le contrade che gli sono state affidate.

La punta della lancia.

La punta cuneiforme dell'asta sembra quasi indicare ai fedeli la salvezza eterna.

L'estremità acuminata della lancia sembra avere la forma del vomere appuntito di un aratro.

Nel passato ogni famiglia usava donare al santo un poco del suo grano che, raccolto in grossi sacchi, veniva portato con dei muli presso la chiesa Madre e depositato nel "magazzino", un edificio ora abbattuto adiacente alla chiesa. Era il grano di Sant'Innocenzo, la cui vendita sarebbe servita a pagare la festa in onore del santo.

Splendore. "Splendore e sfarzo sono nel suo tempio cosmico", Salmo 96-6.

La magnificenza delle foreste lucane fu cantata da Orazio, che in esse amava ascoltare il canto delle ninfe, infatti scriveva "...audire et videor pios errare per lucos" ovvero "Mi sembra di udire (suoni e canti) errare per i sacri boschi", cit. tratta dal Libro III, Ode IV. Cfr. Quinto Orazio Flacco, I carmi e gli epodi, a cura di Onorati Tescari, ed. S.E.I., Torino, 1948, pp.243, versi 6-7. (N.d.A.)

Armonia. "Per lui (Dio) tutto tende ordinatamente al suo fine", cit. tratta da Ecclesiaste, paragrafo 43, versetto 26.

Programmata.

Nel passato erano chiamati vati i poeti ma anche i profeti.

Poetessa greca, vissuta tra la fine del VII sec. e la prima metà del VI sec. a.C., la cui poesia è caratterizzata da un'acuta sensibilità per le forme della natura.

L'A. si riferisce a Giacomo Leopardi e alla sua poesia "Ultimo canto di Saffo" da lui composta a Recanati tra il 13 e il 19 maggio del 1822. Cfr. LEOPARDI G., Canti, a cura di Lidia Crescini, ed. B.U.R., Milano, 1953, pp.49-51.

Versi 19-20 della poesia "Ultimo canto di Saffo" del Leopardi.

L'A. paragona l'aureola del santo alle trecce, che le donne di Grassano, secondo l'antica e schietta usanza, o avvolgevano a corona sulla testa, fermandole con forcine di osso (spatucce) o di ferro (frritt) oppure arrotolavano a spirale sulla nuca. La prima acconciatura era detta in vernacolo "a cap nnand" che significa capigliatura anteriore. La seconda pettinatura "u tupp" è la crocchia, tuttora usata dalle donne più anziane. (N.d.A.)

Testimoni di un lavoro estenuante, ininterrotto, quasi mai gratificante, praticato in zone lontane. Raggiungere quelle contrade ogni mattina di buon'ora era già il primo atto del martirio quotidiano. L'epilogo avveniva di sera, spesso di notte inoltrata: il marito sull'asino e la moglie seguiva a piedi, con la mano attaccata alla coda della bestia per farsi quasi trascinare e per non cadere nei sentieri oscuri quando inciampava nei ciottoli. Significativo il detto popolare: "Femn d Grassan, cioccer di Mndpluse" ovvero "Donne di Grassano (trattate come le) asine di Montepeloso (Irsina)". Altro che martiri! (N.d.A.)

Pura.

Un indiretto riferimento all'antica usanza dei contadini grassanesi di salutarsi, quando si incontravano, con l'esclamazione "laudam a Dii".

Dal mirto, nel passato e anche oggi, si traggono profumate essenze atte ad essere usate come profumo.

Corona.

Rosso.

Bella immagine quella evocata dall'A., in cui il santo sembra voler avvolgere nel suo manto il "suo" paese.

Zolle dei campi.

Forza.

Pilastri. Un riferimento ai pilastri di cemento che sono stati eretti a valle del paese al fine di consolidare i fenomeni franosi che minacciano la stabilità del paese. A tal proposito leggasi STUART Oliver, Il dissesto idrogeologico della Basilicata e le frane di Grassano, ed. Quaderni Grassanesi, Grassano, 1997.

Piacevoli.

Due cornucopie dorate ricolme di spighe e d'uva rappresentano lo stemma del comune di Grassano sin dal 700'. In seguito, probabilmente nell'800', sono stati aggiunti anche i tre monti che, secondo l'ipotesi più accreditata, dovrebbero rappresentare le colline su cui si estende l'attuale abitato; ma sui nomi dei tre colli vi è a tutt'oggi grande incertezza. Cfr. GATTINI Giuseppe, Delle armi de' comuni della provincia di Basilicata, Tip. Conti, Matera, 1910, pp.30; LACAVA Michele, Gli stemmi della provincia e comuni di Basilicata, Tip. dell'economia e del lavoro, Potenza, 1884, pp.15; Libro delle Collette del Sindaco interino Tommaso Giannotta dell'Università di Grassano, manoscritto, Grassano, 1792-1793, Archivio di Stato di Matera, Fondo Materi, Busta 6, Fascicolo 5.

Accarezzata.

Festa.

Ritrovi.

Esperti.

Commerci.

Vie.

Che risuonano.

Rumori.

Che alimenta la vita..

Splendore.

I credenti e gli artisti hanno piegato le loro capacità per celebrare "il culto del Dio della bellezza e dell'amore...".

Un riferimento ai molti grassanesi morti in odore di santità. A tal proposito leggasi: MARSICO Vincenzo, Maddalena Pontrandolfi, in Vite e tormenti di grandi piccole donne, Matera, 1959, pp.157-165; CAGGIANO Egidio, Ricordo di Padre Raffaele Pontrandolfi, Tip. Frati Minori, Firenze, 1970; RONZANO Gabriele, Dedica a Filomena Mazzarella, in I contestatori, ed. L.E.R., Napoli, 1974, pp.5; CELIBERTI Michele, Non riusciva ad essere triste. Profilo biografico di Maria Marchetta, ed. S.T.E.S., Potenza, 1992.

L'ascesi è una pratica spirituale che mira ad ottenere il distacco dal mondo e la perfezione interiore mediante l'abnegazione e l'esercizio della virtù.

Il carisma è un dono divino (es. il dono della profezia, dell'apostolato, ecc.) elargito dallo Spirito Santo ad un credente a vantaggio di tutta la comunità.

Nell'intima convinzione dei fedeli.

Vecchi.

Ti opponesti.

Forzato.

Massimiano Erculeo era un generale di Diocleziano che, nel 286 d.C., lo nominò imperatore delle province occidentali. Con la Tetrarchia (293 d.C.) gli fu affidata l'Africa dove sconfisse i Mauretani (298 d.C.). Persuaso da Diocleziano a rinunciare alla carica, che cedette nel 305 a Costanzo Cloro, si ritirò a vita privata prima in Lucania e poi in Gallia dove fu ucciso o si uccise per aver congiurato contro il genero Costantino (310 d.C.). Varie fonti gli addebitarono lo sterminio della legione Tebea. A tal proposito leggasi la nota 2.

Grassano attualmente ha il più alto numero di donatori di sangue per numero di abitanti. L'A.D.Vo.S. è l'associazione che li riunisce.

Nella preghiera per il terzo giorno della novena per il Santo, riportata nel Novenario di Sant'Innocenzo stampato nel 1802, si legge che: "S. Innocenzo avrebbe dichiarato al papa San Marcellino (296-304 d.C.) di dare, insieme ai suoi compagni, la propria vita per la fede cristiana". (N.d.A.)

Divisa.

Spada.

Le frontiere

L'A. immagina che il Santo sia stato spinto al martirio anche dalla compassione fraterna che questi provò, dopo aver visto i massacri che i legionari compivano ai confini dell'impero. (N.d.A.)

Derisa.

Dell'Europa.

L'appellativo "tebano" va riferito all'appartenenza del Santo alla Legione Tebea. Di questa legione, realmente esistita, si trova menzione nel sec.IV d.C. avendo combattuto in Egitto, in Tracia e anche in Italia, ma la sua terra di origine fu senza dubbio l'Egitto, in cui si trovava la Tebaide. Cfr. AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, ed. Città Nuova, pp.198-199.

Non bisogna dimenticare che le ossa di S. Innocenzo furono scoperte in seguito ad una piena del Rodano.

Costruttiva.

Sanguinosa.

Testimonianza sicura della lode divina.

Passo tratto dal Vangelo secondo San Giovanni, capitolo XV, versetto 13. Cfr. La Sacra Bibbia, vol.3, ed. S.A.I.E., Torino, 1978, pp.144.